L’ossimoro urbano: paletti antiparcheggio e silenzi amministrativi

Nel cuore della nostra città, tra turisti multietnici e enoteche conviviali, si erge un nuovo simbolo dell’ossimoro amministrativo: i paletti anti parcheggio.
Installati per impedire la sosta selvaggia, questi elementi dovrebbero rappresentare un gesto concreto verso l’ordine urbano e la sicurezza dei pedoni.
Ma nella nostra realtà cittadina, diventano invece l’emblema di un’azione politica che agisce senza dialogo, senza confronto, senza ascolto.
L’ossimoro è evidente: da una parte una misura rigida e perentoria — il paletto — che impone regole, segnala confini, delimita ciò che è consentito da ciò che non lo è.
Dall’altra, una gestione politica che evita il confronto con la cittadinanza, che prende decisioni unilaterali e spesso poco contestualizzate.
È come vietare di parcheggiare, ma dimenticare di spiegare dove si può parcheggiare.
Vedi per esempio i parcheggi in viale Innocenzo, rapidamente tolti per dare spazio ai pullman turistici, ma senza aver dato ancora alternative, costringendo lavoratori, utenti degli uffici e residenti, 365 giorni all’anno, ad avventurarsi in zona in cerca di un posto auto rischiando, oltre al fatto di ritardare i propri impegni, di condensare ulteriormente il traffico della tangenziale.
È come chiedere ordine, senza offrire alternative.
Come avvenuto in piazza Cavour dove nemmeno più a NCC, Taxi, o disabili è permesso di accostarsi per servire i clienti del centro.
È come piantare paletti in una città dove il dialogo è diventato invisibile, dove le consulte che coinvolgevano la società civile non esistono più.
Questi paletti, al di là della loro funzione pratica, diventano così la metafora plastica di un’amministrazione che preferisce agire per imposizione più che per condivisione.
Vengono installati nottetempo, senza preavviso, senza coinvolgere i cittadini, senza nemmeno un cartello che ne spieghi la presenza.
Il messaggio è chiaro: “Non ci interessa cosa ne pensate. Questa è la decisione, punto.”
Eppure, la gestione dello spazio pubblico è una delle forme più evidenti e tangibili di democrazia urbana.
Ogni intervento sulla città dovrebbe nascere dal confronto: con residenti, commercianti, pendolari, ciclisti, automobilisti, sportivi, anziani, giovani.
Un paletto può sembrare una banalità, ma se messo nel posto sbagliato, può diventare un ostacolo per un disabile, un pericolo per un ciclista, un disagio per un carico e scarico.
O peggio, può essere percepito come l’ennesimo gesto di un potere che impone, ma non ascolta.
La vera contraddizione, dunque, non è nei paletti in sé, ma nell’approccio che li accompagna.
Servono regole? Sì. Serve ordine? Assolutamente.
Ma serve anche trasparenza, coinvolgimento, responsabilità condivisa e dialogo.
Poi, giustamente, decide chi ha vinto, ma almeno il dialogo potrebbe insinuare il beneficio del dubbio.
Ho valutato tutte le opzioni ? Sono ancora in tempo a modificare, o procrastinare l’intervento quando ci saranno delle alternative pronte ?
Non posso fare contenti tutti, ma potrei farne contenti di più ?
Perché una città funziona quando le regole sono comprese, accettate e sentite come proprie. Non quando vengono vissute come imposizioni calate dall’alto.
In fondo, la città non è fatta di paletti, ma di persone.
E ogni barriera eretta senza dialogo rischia di diventare un muro.
Un ostacolo non solo fisico, ma soprattutto sociale e politico.
Un silenzio che parla — e racconta una distanza che cresce.
Non è solo questione di parcheggio. È questione di partecipazione. Ma vogliamo davvero una città che decide senza chiedere ?