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Sun, Apr 27, 2025
Editoriali

“Pellegrino di Speranza: quattro giorni a Roma tra lutto, bellezza e rinascita”

“Pellegrino di Speranza: quattro giorni a Roma tra lutto, bellezza e rinascita”
  • PublishedAprile 26, 2025

«Non si va a Roma per caso. Si va perché si cerca qualcosa. E si trova, sempre, qualcosa di più grande di quello che si pensava di cercare.»

Il viaggio era cominciato in modo brusco, quasi spietato, di quelli che ti fanno raddrizzare la schiena anche quando sei ancora seduto in treno. La notizia correva rapida tra i vagoni come un vento freddo: Papa Francesco era morto. Il 21 aprile 2025, la Chiesa aveva perso il suo pastore, il mondo una delle voci più umane e limpide del nostro tempo. Il cuore, intanto, aveva già fatto un salto, un passo avanti, una preghiera spontanea. E, forse, era proprio questo il primo segnale del pellegrinaggio che stava per cominciare. Un cammino che chiedeva di essere fatto non solo con le gambe, ma con il cuore aperto e l’anima nuda.

Roma ci ha accolti così, con il suo consueto misto di eternità e confusione, con il sole che sa ancora di primavera e l’aria che profuma di storia. E noi — famiglia intera, zaino in spalla e cuore aperto — eravamo lì non come turisti, ma come pellegrini. Pellegrini di Speranza, come Francesco ci ha insegnato a dire.

Abbiamo varcato porte, ma non porte qualsiasi: le Porte Sante. Una dopo l’altra, quasi a voler aprire ogni stanza del nostro spirito, ogni angolo del cuore dove si erano annidati la stanchezza, il disincanto, le piccole paure del vivere quotidiano.

Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le Mura, San Pietro… Ogni soglia un passaggio, ogni basilica una tappa di questo cammino che non era solo tra le pietre e il marmo, ma tra le domande e le attese più intime.

Mi sono tornate in mente le parole di Sant’Agostino: “Inquietum est cor nostrum, donec requiescat in Te” — «Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te». Ed è proprio così. Si arriva a Roma con il cuore affaticato, e si scopre che il pellegrinaggio serve a far respirare l’anima, a lasciarle il tempo di riposare e, insieme, di rimettersi in cammino.

Roma ti insegna la pazienza. Anche solo nelle file, tra una porta santa e l’altra. Ma non sono file fastidiose: sono code di umanità, di volti diversi, di lingue che si intrecciano come preghiere. Sorrisi, mani che si stringono, bambini che si annoiano e poi si entusiasmano, anziani che camminano lenti ma decisi. È l’immagine plastica di quella “Chiesa in uscita” che tanto ha sognato Francesco.

E camminando, ogni giorno un po’ di più, mi sono sentito meno spettatore e più parte di quel disegno misterioso che chiamiamo fede. Ogni passo una preghiera, ogni sosta un grazie.

Siamo entrati nei luoghi dove il tempo si misura non in minuti ma in secoli. Dove la bellezza è ancora capace di toglierti il fiato senza bisogno di effetti speciali. Dove Bernini ti abbraccia con il colonnato e Michelangelo ti ricorda che il genio sa parlare di Dio meglio di mille parole.

La sera, guardando il Tevere scorrere calmo sotto i ponti, ho pensato a quella frase di Italo Calvino: “Di una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.” E Roma, in questi giorni, ha risposto. Non con spiegazioni razionali, ma con il silenzio delle sue pietre, con la luce dorata delle sue sere, con l’intreccio di umanità raccolta intorno a un sogno comune: quello di una Speranza che non delude.

Siamo tornati a casa cambiati. Non rivoluzionati, no — le vere rivoluzioni sono sempre lievi, iniziano sotto pelle. Ma rinnovati sì, con il passo più leggero e lo sguardo più largo.

Perché Roma, quando la attraversi così, da pellegrino e non da turista, ti ricorda una cosa fondamentale: che ogni porta santa attraversata fuori è una porta che si apre dentro.

Written By
Valeriano Maspero

Vicesindaco Cantù con delega a Bilancio a Tributi, Marketing Territoriale e Digitalizzazione | Responsabile Dipartimento Enti Locali per la Provincia di Como in Fratelli d’Italia